Non tutti sanno che a Pistoia, come in molti altri centri urbani, esisteva una zona in cui erano relegati gli ebrei che vivevano nella nostra città: un ghetto (segregazione coatta), privo di finestre verso l’esterno, chiuso da stretti cancelli e protetto da alti muri, in cui gli ebrei pistoiesi, che non potevano possedere degli immobili, vivevano separati dal resto della popolazione cittadina e dove gli era permesso di praticare soltanto la professione medica, il commercio di abiti usati e in principio anche l’usura, considerata a lungo come una qualsiasi altra attività commerciale, ma il suo esercizio fu regolamentato dal Comune di Pistoia a partire dal 1455. L’area del ghetto ebraico pistoiese si trovava compresa tra quelle che oggi sono via Roma, via di Stracceria, piazzetta dell’Ortaggio e Sdrucciolo dei Cipollini. L’ingresso era da piazzetta dell’Ortaggio, dove ancora rimangono due stretti cancelli che oggi conducono a quelle sono normali abitazioni: ai tempi del ghetto uno portava a un pianterreno senza aperture verso l’esterno, e l’altro, tramite scale ripide e strette e un corridoio, conduceva a una corte interna che forse era il centro del ghetto stesso, caratterizzato da finestre piccole, soffitti bassi, mezzanini e piani asimmetrici, perché derivanti dall’assemblaggio di edifici differenti. Vi si esercitavano, spesso in clandestinità, mestieri e attività varie, si dormiva in spazi ristretti, si viveva, come si poteva. Eppure qui, come in tanti altri luoghi in cui vennero segregati, gli ebrei riuscirono a conservare le loro tradizioni e costumi, la loro cultura e la loro fede. Così in questo ristretto ambito cucinavano i loro cibi, come il pane azzimo, le bisse e le torte di mandorle, osservavano i periodi di digiuno, festeggiavano le loro ricorrenze e pregavano: forse infatti all’interno, ben nascosta, alta e rivolta verso Gerusalemme, avevano costruito anche una piccolissima sinagoga, dove svolgevano i riti della loro religione e si riunivano.
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