Ero piccolina quando lo vedevo passare per Porta al Borgo, la sua donna a ruota qualche passo dietro di lui, il cappello in testa e un borbottìo, il suo, che lo accompagnava. Remo Cerini era già vecchio (morì nel 1980) e mi dicevano fosse matto. Gli piaceva fumare la pipa, bere vino e scrivere versi, odiava la guerra e magari era un po’ megalomane, quello sì: si vantava di esser un sommo poeta, tanto da paragonarsi a Dante o altri grandi. Esagerava, certo, ma i suoi componimenti, pur non di alto valore poetico, rispettano la metrica, sono in alcuni casi davvero profondi e quasi sempre piacevoli.
Era nato a Pistoia il 28 luglio 1889 alle 10, nei pressi di San Lorenzo. I suoi, il padre Pietro, fornaio, e la madre Apollonia, casalinga, non se la passavano male (pare che il babbo fosse anche proprietario di vari appartamenti). Trascorse l’infanzia nella casa paterna in Vicolo dei Chiappettini (tra piazza San Lorenzo e Via Buonfanti), studiò fino al secondo anno della Scuola Tecnica e dopo fu assunto alle Officine San Giorgio, dove fu un bravo operaio. Poi, però, col tempo, il vino ebbe la meglio, così lasciò il lavoro e il padre alla fine lo diseredò. Da allora bighellonò per la città – tentò anche di avere miglior fortuna a Milano, ma tornò scornato – e scrisse poesie, che solo una volta gli furono pubblicate in un volumetto dalla Tipografia Grazzini (nel ’24), perché in seguito non cercò nemmeno di sfruttarle per mantenersi. Dormiva sotto le logge del Ceppo, della biblioteca Forteguerriana o del Duomo, e durante l’estate in piazza della Resistenza o sui prati lungo la Brana. Era quasi sempre alticcio e quando passava davanti ai bar si diceva a voce alta “Resisti Remo, resisti!”, ma appena andato oltre aggiungeva “O bravo Remo, tu hai resistito, tu ti meriti un bicchierino!”
Anche se sempre in preda ai fumi dell’alcol, raramente mancava di rispetto a qualcuno: si limitava a decantare i suoi versi e a rispondere sempre in rima. Un povero elegante, Remo, anche nel portamento e soprattutto perché non si faceva comandare dal denaro. Viveva di elemosine e alla giornata e oltre all’alcol amava le belle donne. Ma, almeno da molto anziano, quando lo vedevo io, non si staccava mai da sua moglie Rita, che lo seguiva sempre: spesso litigavano e se ne dicevano di tutti i colori in mezzo alla via, ma poi facevano sempre pace, erano inseparabili.
Il Comune gli ha reso omaggio quando nel 2013 ha deciso di sostituire nei documenti anagrafici dei senzatetto pistoiesi la dicitura “senza fissa dimora” con quella di “via Remo Cerini”. Il Cerini è rimasto nel ricordo di tanti pistoiesi e magari sarà stato matto, ma di certo non stupido:
Viva l’amore
viva il perdono,
viva chi sente
me che ragiono.
Viva il passato
odio ‘l presente,
viva l’idiota
che nulla sente…
Remo Cerini
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