Le tradizioni del Natale, anche a Pistoia, non sono sempre state le stesse. Un tempo, qui come nel resto d’Italia, l‘albero di Natale non era visto di buon occhio associato al presepio: considerato un qualcosa di profano, preso a prestito dal Nord Europa e dall’America, era quasi un sacrilegio porlo accanto al presepe, per il significato sacro di quest’ultimo e solo più tardi è entrato a far parte della tradizione cattolica. In ogni caso, l’adozione in ambito domestico di entrambe le usanze – presepe e albero di Natale – è abbastanza recente, tanto è vero che prima i presepi non si facevano nelle abitazioni private, ma si andavano a vedere nelle chiese e nei monasteri. A Pistoia il Natale tra le mura di casa si festeggiava con tradizioni che potevano variare da luogo a luogo, ma sempre all’insegna dell’abbondanza.
Per quanto riguarda il cibo, 50 anni fa c’era una certa varietà di piatti che contrassegnavano tipici dei pasti natalizi. Per antipasto, di solito, insieme ai consueti crostini di fegatini, c’era il collo ripieno del pollo lessato, consumato dopo averlo fatto a fette; di primo, invece, si mangiava pasta in brodo e per secondo arrosto misto di tacchino, pollo e patate, cotto con l’olio “buono” nelle cucine economiche a legna. Ma a Pescia la sera della vigilia si faceva una cena di magro a base di baccalà, broccoli e castagne secche, ed anche a Tizzana (Quarrata) si festeggiava con le castagne secche cotte nell’acqua ed il baccalà. Tanti i giochi che animavano le giornate e serate di festa. Tra questi il semolino: ogni partecipante nascondeva un soldo dentro un mucchio di semola steso sul tavolo e, dopo averla ben rimescolata, si facevano tanti monticelli quanti erano i giocatori, ognuno dei quali “rimestava” nel suo per recuperare il denaro.
Un’altra tradizione tipica del Natale, pure pistoiese, era quella del ceppo: in origine pezzo di legno scavato all’interno per deporvi le offerte, oggi il suo nome è entrato nel lessico popolare, in genere per indicare un dono di Natale. Ma nella campagna, dopo la messa di mezzanotte, il ceppo era un grosso pezzo di legno che si metteva sul fuoco perché nella notte Gesù bambino ci si potesse riscaldare. In alcuni paesi il ceppo si poneva sul fuoco prima della cena di vigilia, però non si faceva consumare tutto e in qualche caso la tradizione voleva che bruciasse un sino al 6 gennaio, quando i bambini lo sostituivano con un panierino di fieno preparato per il ciuchino della Befana; oppure si spegneva il ceppo nella stalla, dove si conservava fino alla vigilia dell’anno seguente come benedizione.
Usanza pistoiese era anche l’accensione dei fuochi la notte di Natale, sui monti, agli incroci delle strade, ed in città, davanti ai tabernacoli. I bambini facevano a gara a raccogliere la legna già un mese prima, perché il loro fuoco fosse il più bello e il più grande di tutti, e i falò si accendevano appena suonata l’Ave Maria della sera, quando tutti vi si riunivano intorno per intonare canti natalizi.
Oggi tante vecchie usanze legate al Natale non ci sono più, si sono evolute oppure vengono gradualmente sostituite da altre, anche senza che ce ne rendiamo conto.
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