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Curiosità

Le cure della medicina popolare nelle campagne e sulle montagne pistoiesi
Data 27 Marzo 2020

Le cure della medicina popolare nelle campagne e sulle montagne pistoiesi

Tramandate di generazione in generazione, si usavano contro tanti malanni, fisici ma anche psicologici: erano le cure della medicina popolare, messa in atto nelle zone delle montagne e campagne intorno a Pistoia, sopravvissuta fino a non molti decenni fa. Tra pratica medica e magia, comprendeva tutta una serie di curiosi espedienti volti a far sparire il male: somministrare le cure era prerogativa di alcuni iniziati (più spesso donne), cui erano state insegnate in genere da membri più anziani della famiglia. Sui monti e nelle zone rurali pistoiesi si ricorreva a questi sistemi popolari di cura: con stracci, piante, aromi, aceto, acqua, briciole di tabacco e molti altri “strumenti” si compivano delle specie di riti finalizzati alla guarigione. La casistica delle malattie curate era piuttosto vasta: dal mal di testa ed emicrania alle malattie degli occhi, dal Fuoco di Sant’Antonio alle slogature e contratture, e molto altro. Ogni malattia richiedeva il suo specifico trattamento.
Così, in varie zone dell’Alto Reno pistoiese tra le cure popolari c’era quella che ovviava all’anemia facendo bere “acqua ferrosa”, acqua in cui si era lasciato a “macerare” del ferro; una “medicina” simile era invece usata sull’alta montagna pistoiese per curare il raffreddore, ma al posto dell’acqua si usava del vino a bollore.
E soprattutto, per ovviare a molte patologie, si “segnava”, ovvero si allontanava il male con dei gesti delle mani o con un oggetto benedetto: spesso si trattava di un’imposizione delle mani accompagnata da segni tracciati sulla parte malata e da una specie di litania o cantilena; la formula che veniva pronunciata era molto importante, perché dal potere taumaturgico. Così, ad esempio, si “segnava” per far sparire la paura e questo non solo in montagna, ma anche in tante zone rurali, come a Serravalle, dove ricordo la dirimpettaia di mia nonna lo faceva spesso. Ma per “levare la paura” ci voleva un’erba particolare, appunto detta Erba della paura. A Pistoia sino a non molti anni fa c’era una vecchietta che la vendeva al mercato della frutta e degli ortaggi sulla Sala: tra uova, finocchio selvatico e insalata di campo, la signora offriva infatti anche la siderite (Stachys recta), una pianta profumata che cresce spontanea nelle aree asciutte e soleggiate del centro-nord Italia. Raccolta, secondo la tradizione, il giorno di San Giovanni e del solstizio d’estate, 24 giugno, veniva essiccata all’ombra e conservata in mazzetti. Se ne bolliva (per irca 45 minuti) un pugno in 4 o 5 litri di acqua, con del sale, un pezzetto di pane e foglie d’ulivo benedetto: si otteneva così un liquido che, fatto raffreddare, era appunto usato per detergere il corpo della persona “impaurita”, con una sola mano dall’alto verso il basso, pronunciando una formula tra il magico e il religioso. Così si intendeva mandar via quelle sensazioni di agitazione, ansia, paura derivate da un grosso spavento o una forte emozione. Questa pratica di solito veniva compiuta da un’anziana guaritrice, ripetendola per tre volte nei giorni senza la “r” (ovvero escludendo martedì e venerdì): se al primo lavaggio l’acqua si intorbidiva un po’, voleva dire che la paura c’era e tornava limpida coi lavaggi successivi, segnando il ritorno alla tranquillità.

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